lo spazio vuoto

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lunedì 3 ottobre 2016

La casa-ombra

Se ne sta lì, sola nuda, come un gigantesco involucro, un carapace vuoto, come quegli insetti che lasciano di sé solo l'esoscheletro e dentro più nulla, spariti, di loro nemmeno più l'odore.
Non si può non notarla a Mittelberg, l'enorme casa-ombra, in cima alla strada principale, unica striscia di blu a scorrimento lento, filo tortuoso tra la valle e le vette.



Tutto è perfetto su quella strada: i fiori sgargianti alle finestre, le orchidee dietro i vetri, le piccole scaglie di legno, serrate le une alle altre, a proteggere i muri delle case, il verde rigoglioso dei prati cresciuto a vanto di cime e persone.

Tutto sembra perfetto.
A parte lei.

Seccata dal sole, sporca, grigia, se ne sta abbandonata dietro una fitta ragnatela di tubi, qualche finestra vuota, occhi smarriti, dimenticati aperti senza cura di pudore alcuno.



La sua gigantesca ombra mi sovrasta. Ha qualcosa di vivo, ancora. Prendo il mio taccuino e traccio qualche linea sghemba, fermo lì quella visione, segno la strada per poterci entrare.

Poi una domenica il cielo s’incupisce e il grigio stringe in una morsa fredda ogni vanto di colore. Ma la casa-ombra no, lei resiste: un foglio giallo, sgualcito a sorriso, appiccicato a uno dei tubi, annuncia un mercatino delle pulci nella casa di Klara. Una ruga di luce sulla sua pelle.
Metto le mani a visiera per sbirciare dentro la finestra. Un bambino minuscolo comincia a bussare ossessivo sul vetro, dall'interno, fino a quando braccia da grandi lo tirano giù e mi fanno segno di fare il giro ed entrare.



È lei la casa di Klara.

Entro varcando una soglia, come si entra in un Altro, mondo uno di due, in punta di piedi. Mi travolge un odore di polvere e legno, i passi scricchiolano sulle assi, il soffitto è basso, una vecchia stufa in ceramica troneggia nell'atrio. La casa è attraversata da tante persone, c'è un’aria di festa, una signora gira per le stanze tenendo in equilibrio sul braccio un vassoio di bevande calde, tè, cappuccino, caffè. Fuori fa freddo e, tra le mani, è intenso tepore di casa quello che stringo. Comincio a girare per le stanze, immergendomi in una strabiliante wunderkammer, dove ogni cosa è stata conservata a rispetto di usura e tempo-lavoro: ci sono piccole scatole di legno, rivestite in cuoio, per la conservazione di porzioni giornaliere di tabacco, ciotole con dentro croci di legno, intagliate a mano, aghi da materasso lunghi venti centimetri, riviste, una scacchiera in ciliegio, un giradischi ancora perfettamente funzionante e tanti vinili. Qualcuno ne sceglie uno e lo dispone sul piatto. La musica si spande tutt'attorno. Mi dirigo verso una libreria: su un ripiano trovo le lenti pince nez di Klara, le prendo, le passo tra le mani, me le provo. Il cuore mi pulsa nelle tempie.

Perché sono qui? Chi era Klara? Aveva 93 anni quando l'usura del tempo aveva travolto anche lei. Una parte della sua vita l'aveva spesa a fare la contabile, per un ufficio del Comune. Ma un giorno, stanca di mettere in colonna numeri, aveva sentito di dover allargare il respiro, conoscere altro, trovare persone che potessero corrisponderle parole e non solo denaro. Aveva allora rilevato la casa-ombra, e ne aveva fatto una casa-ristoro.

Così voleva che fosse, non una qualsiasi casa vacanze. Non le piaceva l'idea delle ferie da consumare, sperava che tra quelle mura, in quelle stanze, nei letti profumati di fresco, tra quelle note, le persone potessero sentire di essere tornati a casa, un'altra casa, quella interiore. Una casa ricolma di piccoli oggetti, strumenti che avrebbero dovuto rendere il suo lavoro e la permanenza degli ospiti un dipanarsi lento e consueto di giorni sereni a contemplazione di montagne e silenzio. Ascolto la sua storia, parlo con le persone che le sono state vicino, sento il loro calore e la nostalgia. Klara comincia a essere una parte di me, dentro di me. Una stanza della mia casa si apre, un angolo buio, che ora prende luce e si schiude oltre gli argini della distanza. Vorrei portare con me tantissimi oggetti, un trinciaprezzemolo, ciotole da muesli dipinte a mano, i suoi occhiali, un piccolo binocolo da teatro.

Apro un cassetto della credenza, dentro ci trovo un libro dalla copertina rossa, sul frontespizio una scritta in oro e tre pentole di grandezza diversa, che emanano profumati effluvi. Lo apro e, pagina dopo pagina, volute di lettere, parole composte eleganti, prendono corpo sotto i miei occhi: sono le ricette che Klara ha trascritto in tanti anni di attività. Chiudo gli occhi, annuso le pagine, chiedo se posso comprarlo e per pochi euro lo porto con me. Con il libro stretto tra le braccia salgo le scale per il piano di sopra.






Nel frattempo mi hanno raggiunto anche i bambini e Paolo. Thomas ha un fiuto speciale per i giochi e gli attrezzi, immediatamente trova quello che gli interessa: costruzioni degli anni '40 in cartone pressato, incastri che danno vita a tre tipi di abitazioni, sembra ci sia pure quella di Klara.



Anche Emilia trova qualcosa, il gioco della serigrafia, mancano alcune lettere, ma per il resto basta solo ricomprare l'inchiostro. Ci divertiamo, sedute per terra, e comporre le prime parole: casa di Klara.

Entro nella stanza di Klara, il suo armadio è aperto, ho la sensazione di profanare un luogo sacro: ci sono i suoi abiti belli, quelli tradizionali, con il grembiule lungo, in seta pesante ricamata, giacche da lavoro che lei stessa cuciva, una scatola di calze di seta, ancora intatta. Mi sembra quasi di sentire i suoi passi. Le mani scorrono attraverso le stoffe ma non riesco a prendere nulla.

Esco e mi avvio all'ultimo piano: ha il tetto spiovente e un grande lucernario, sotto ci sono due sdraio in faggio, aperte come se attendessero ancora i loro ospiti. Mi ci adagio, guardo attraverso il vetro, è uscito un raggio di sole, nuvole dense solcano veloci il cielo, come i pensieri ora nella mia testa: penso a Klara, a quel poco che so di lei, a quello che immagino, alle corrispondenze che cerco tra me e lei.

So che nei luoghi che mi capita di attraversare spesso trovo storie che mi restituiscono una parte di me, trame così lontane dalle mie, che hanno tuttavia fili in comune, quella radice dell'umano, che irriducibile abita nella stanza segreta del nostro io. Vite che forse ho già vissuto e che ora tornano a visitarmi.

Emilia mi scuote il braccio, mi dice che dobbiamo andare, - Babbo ti vuole - mi sussurra. Anche Paolo ha trovato il suo tesoro. Una pendola, rimasta immobile, segna le 5, l'ora in cui Klara si è sempre alzata, mi dicono. La stessa ora in cui mi alzo io. Corrispondenze. Prendiamo anche quella. I suoi familiari ci salutano calorosamente, gli occhi ci si inumidiscono, Klara non c'è più, ma la sua casa presto tornerà ad essere una casa-ristoro-museo. Torneremo il prossimo anno, a visitare la casa di Klara, a cercare storie e corrispondenze.

2 commenti :

  1. Fili invisibili che collegano le vite delle persone,tracce che ci restituiscono pezzi di passato... Grazie Cristiana,per aver condiviso questi tesori.auguri per la tua nuova avventura ( e grazie Klara)

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  2. Un'antica leggenda cinese parla del filo rosso del destino, dice che gli dei hanno attaccato un filo rosso alla caviglia di ciascuno di noi, collegando tutte le persone le cui vite sono destinate a toccarsi. Il filo può allungarsi, o aggrovigliarsi, ma non si rompe mai... Fili rossi da anima a cuore s'intrecciano. Grazie Cristiana carissima per questo blog che ci arricchisce per le tue parole di vita condivisa (Klara compresa)

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