lo spazio vuoto

lo spazio vuoto

mercoledì 19 ottobre 2016

Salvatore

Di notte, mi accade sempre di notte: la solita puzza, che mi sale nel naso, sù sù fino al cervello e poi giù, di nuovo, in conati di vomito.
Sto per partire, manca poco. I miei nuovi compagni mi aspettano, ho lo zaino già pronto. Ricomincio tutto daccapo, nuovo.
Mi resta solo questo odore, cadavere di mare, che si insinua a casaccio, a ricordarmi da dove vengo.  



Avevo dieci anni quando ho vomitato per la prima volta sulla sua barca. Era notte, ma lontano si intravedeva già una sottile linea d'alba. E con la luce dell'alba anche l'orrore. 
Lui diceva che era normale, che dovevo fare esperienza, che il mare era così, mi dovevo solo abituare al rollio, che lui sì che ne aveva passate di brutte con il mare grosso.
Ma non era il mare in sé a rivoltarmi, era l'orrore che c'era dentro: quei pesci dallo sguardo sbarrato, presi nella rete, insieme a pezzi di ricordi di uomini e donne e bambini, finiti a volte come cibo nella loro pancia. 
Mio padre mi portava con sé perché diceva che quello sarebbe dovuto essere il mio lavoro, quando fossi diventato grande. Cosa può fare il figlio di un pescatore, se non il pescatore? 
Io lo dovevo aiutare a tirar su le reti, e a disincagliare tutto quello che era finito nelle trame di corda. Ai pesci ci pensava lui, il resto lo lasciava a me: scarpe, tante scarpe, grandi, piccole, sempre spaiate, buste di plastica piatte, con dentro fogli scritti in lingue indecifrabili, bambole, palloni sgonfi, a volte anche piccole borse, tanti abiti, sfilacciati dal mare e dal tempo, cappelli piccoli, sciarpe, avanzi d'esseri umani. 



La prima volta che chiesi di chi fossero quelle cose, mio padre mi disse che erano di tutti quei poveri disgraziati, più disgraziati di noi, che venivano da chissà dove a cercare un posto nel quale stare meglio. Ma loro, diceva sempre mio padre, non sapevano mica che qui si stava come i cani in chiesa. Se lo avessero anche solo immaginato, se ne sarebbero stati a casa loro. Magari adesso sarebbero stati ancora vivi. 
Come i cani in chiesa, mi ripetevo invece io sulla lingua, senza capire fino in fondo se era bene o male. In chiesa mi ci portava la nonna, con la promessa che, se stavo buono, poi mi comprava i lupini. Ma a me i lupini non erano mai piaciuti, avrei preferito una fetta di dolce, con lo zucchero a velo sopra. 
Però mi piacevano le storie, che sentivo raccontare dal prete. Così aspettavo che tornasse quella che preferivo, quella nella quale Gesù aveva chiamato i suoi amici, dicendo loro che potevano anche lasciare le reti, smettere di andare per mare, pure se erano pescatori, perché lui li avrebbe fatti diventare pescatori di uomini. Proprio così diceva la storia. 
La cosa che mi piaceva di più la capisco bene solo ora, ed era quella del poter cambiare destino. Se eri nato pescatore non è che dovessi farlo per forza per il resto della tua vita, potevi anche fare altro, tipo il pescatore di uomini, che mi sembrava non aveva nulla a che fare con il mare, e soprattutto con i morti nel mare. L'idea era per me meravigliosa, perché più passava il tempo più non riuscivo a salire sulla barca senza incominciare a vomitare. 
Però poi la realtà tornava a scuotermi con violenza. Mi chiedevo se questi uomini pescati dovevano essere vivi o morti, come i pesci che prendevamo noi, o come gli esseri umani in fondo al mare, quei disgraziati di cui mi aveva parlato mio padre, e di cui io ero ormai terrorizzato. A volte li sognavo, col volto pieno di dolore e di rabbia, che risalivano dal fondo del mare e mi venivano a prendere per portarmi giù con loro nel buio senza contorni. Mi svegliavo allora senza respiro, in preda a crisi d'asma. 
Cominciai ad ammalarmi, mi sentivo un peso tra il petto e la gola, mi mancava l'aria, e cominciai ad avere attacchi d'asma sempre più forti. Ogni volta che sapevo di dover andare sul peschereccio mi veniva la tosse, non lo facevo apposta, stavo davvero male. Spesso rimanevo senza fiato così a lungo che mio padre dovette rinunciare a portarmi. Mi curarono per l'asma e mi venne il mal di pancia, colite e duodenite, vomitavo ogni qual volta mettevo piede sulla barca. Alla fine mio padre si rassegnò. Avevo un solo figlio, maschio, incapace di affrontare il mare. 
Fu l'inizio della nostra lontananza. Ma io continuavo a pensare a Gesù, ai pescatori di uomini. Non volevo deludere mio padre, chissà forse quello poteva essere un'alternativa. Magari, se non ci fossero stati di mezzo il mare e i morti, sarei stato capace di fare qualcosa anche io. 
Continuava però a sfuggirmi il senso del diventare pescatore di uomini.
Un giorno chiesi a Milena, lei doveva sicuramente saperlo. 
Eravamo grandi ormai, facevamo il catechismo della cresima, e lei era bellissima. Sento ancora la sua risata esplodermi dentro. Mi spiegò che pescare uomini alla maniera di Gesù, voleva dire salvarli, semplicemente amandoli. A Milena non potevo dire altro che sì, che avevo capito benissimo, anche se in verità ancora non mi era tutto così chiaro. 
Poi un giorno di qualche anno dopo, in un pomeriggio torrido di fine luglio, mentre me ne stavo davanti al computer a navigare ossessivo in cerca di un buco di posto al mondo che potesse farmi sentire a casa, scoprii una cosa che ora sta per cambiare la mia vita.
Da quando non andavo più sul peschereccio con mio padre, il mare era diventato la mia ossessione. Senza volerlo finivo sempre per avere a che fare con quella voragine immensa di blu, anche nei giochi che facevo con la play, anche a scuola con le lezioni, anche quando navigavo a casaccio, come quel pomeriggio, in rete. Negli ultimi anni il mare era diventato un cimitero, continuava a riempirsi di morti e l'isola, la mia isola, un puntino minuscolo sulle carte geografiche, ora era sulla bocca di tutti, soprattutto in TV e in internet..
Quella volta però è stato diverso.
Una foto mi aveva incuriosito: un peschereccio dai colori sgargianti, con un nome che mi sembrava una bella promessa, IUVENTA. Appesi al suo fianco, due gommoni carichi di migranti, che venivano issati a bordo, mentre in primo piano c'era una ragazza di spalle  che doveva aver guidato le operazioni di salvataggio da un altro gommone, poco lontano. La ragazza era di spalle, non potevo vedere il suo sorriso, eppure sapevo dalla posizione delle sue spalle, che doveva essere nel suo buco di posto, in pace a casa sua, in quel frammento di mare. 



Il cuore mi si era fermato di colpo, come se una punta di freccia si fosse conficcata nel centro esatto dei miei pensieri. Un dolore intenso mi aveva risvegliato. 
Cominciai a cercare informazioni su questo strano peschereccio, IUVENTA, su chi fossero i ragazzi, tutti giovani che si intravedevano a bordo. Scoprii così che alcuni giovani tedeschi, stanchi di ascoltare le solite vuote parole di costernazione per i naufraghi dispersi, avevano deciso di provare a fare qualcosa. Avevano fondato un'associazione e, con un progetto di crowfunding, avevano restaurato un peschereccio olandese, dando avvio al progetto IUVENTA: solcavano il mare con a bordo uno staff di pronto soccorso e prima accoglienza per "pescare", dove ce ne fosse bisogno, esseri umani dispersi vivi in mezzo al mare, proprio quei disgraziati, di cui io avevo contato centinaia di scarpe. 
Loro, semplicemente, facevano questo. Non avevano aspettato fondi erogati, summit internazionali, decisioni politiche, avevano dato corpo alla necessità di un aiuto, che li aveva interrogati individualmente. E avevano risposto. 
Passai i giorni successivi chiuso in camera, davanti al computer, con la pagina dell'associazione Jugend Rettet sempre aperta. Sentivo che era quello il mio posto, nonostante ci fosse il mare e il peschereccio. Mi sembrava tutto così incredibilmente assurdo, eppure possibile. Li contattai via skype, parlai a lungo con loro, conoscendoli e riconoscendomi.
Sto per partire, fra due giorni, starò due settimane con loro. Mi hanno accolto a bordo di IUVENTA perché sto per diventare uno psicologo, parlo inglese e si conosco anche bene il mare e le isole. È tutto pronto, ricomincio daccapo, nuovo. E sono sicuro che così smetterò di vomitare. Dimenticavo: mi chiamo Salvatore e farò il pescatore di esseri umani.



Jugend Rettet, associazione di giovani volontari tedeschi che attraversa il Mar Mediterraneo, salvando vite umane.

Fuocammare, Film di Gianfranco Rosi, scelto per rappresentare l'Italia agli Oscar, come migliore film straniero. 



2 commenti :