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giovedì 16 marzo 2017

Sorelle di carta

Sono passati sei anni da quando in Siria c'è la guerra.
Per questo ho deciso di scrivere questo post, con l'idea di raccontare ancora di quella Siria di cui ho scritto nel libro, Sorelle di carta, ma anche del viaggio che il libro stesso ha compiuto tra le ragazze e i ragazzi che ho incontrato in questi anni.
Una ragazza, in un incontro che ho avuto nella libreria Feltrinelli di Verona a febbraio, mi ha chiesto quale fosse stato il sentimento che mi aveva spinto a scrivere la storia. Di emozioni ne ho provate molte, perché come dicevo anche a lei, l'emozione è qualcosa che investe il corpo, è una reazione incontrollata o scarsamente controllabile a uno stimolo esterno. E quando scrivo storie mi capita di stare così dentro i dialoghi, le situazioni, i personaggi e ciò che accade loro, che sì, mentre le dita battono incessantemente sulla tastiera, comincio a sudare, o al contrario ad avere le mani gelate in pieno luglio, e un gran batticuore.
Il sentimento è qualcosa di diverso, è composto da radici che tessono legami con la terra della nostra memoria. E in questo caso il sentimento che mi pervade ancora oggi è quello della gratitudine.
Gratitudine per un paese e per un popolo che mi ha accolto nonostante la mia alterità, che mi ha mostrato senza reticenze la sua natura intima, che mi ha donato la capacità di scartare un angolo di osservazione e provare a vedere da una prospettiva altra.

Il villaggio di Tell Mardikh visto dalle mura della città antica

Hamid e Ahmed Ajali in posa dopo aver preparato il cantiere per le foto finali

Ho lavorato in Siria per tanti anni, con periodi di permanenza di diversi mesi ogni anno. Mi è capitato di partire ad estate appena cominciata e di tornare a novembre, quando qui brillavano già le luminarie di Natale. Ogni partenza e ogni ritorno sono stati un viaggio di crescita, sono state parole scritte sul nastro della mia memoria. Ho messo a dimora immagini, colori, odori, sensazioni, paure, gioie, incomprensioni, difficoltà, resistenza, dialogo, affetti profondi, quelli che poi sono confluiti nel libro.

Buseina e Dua con me sotto la tenda di casa

Spessissimo i ragazzi mi chiedono se i personaggi e la storia siano vere, come se l'esserlo avesse un valore aggiunto, come se desse alla storia quel quid in più. Così racconto loro che per me ogni storia è vera, nella misura in cui posso leggerci una parte di me, che prima non vedevo, e questo mi da la possibilità di ricrivere allo stesso tempo nuove traiettorie esperienziali.
Il libro è dunque nato per raccontare della Siria, per mostrare un paese che in pochi anni è diventato, negli occhi della memoria di tutti, solo e soltanto guerra, distruzione, profughi. E di cui invece io ho conosciuto soprattutto la bellezza culturale e umana.
Ma volevo anche raccontare di quel paese, straniero a molti adulti, che è l'adolescenza, dove le storie hanno il potere di una cassa di risonanza che amplifica emozioni, vissuti, esperienze, segnando e costruendo possibili nuovi scenari indentitari.
Così scrive Andrea (3G): Da questo testo emerge anche il bisogno di libertà da parte della protagonista e la forma di ribellione che lei coltiva nel corso del tempo. (Andrea 3G)
In realtà Costanza non riesce a trovare davvero un modo per resistere al mondo degli adulti, in Siria ci si ritrova lo stesso, nonostante le sue resistenze, e la scuola che frequenta è quella che hanno scelto i suoi genitori. Ma sarà proprio questo accumulo di situazioni che la porterà a esplorare una parte di sé e a trovare comunque una strada nuova, proprio all'interno di quelle situazioni non volute.

Aima vista con gli occhi di Sara (3 A)

Una cosa che credo sia piaciuta molto ai lettori, è stato il sentirsi dentro la vita di Costanza, perché quella storia in fondo, poteva essere anche loro, perché hanno sentito di potercisi riconoscere. E quel desiderio di sperimentare la vita per conto proprio, in autonomia, è tutta dentro i ragazzi. Ne hanno bisogno, sentono di dover provare a fare da soli, senza qualcuno pronto lì a puntare il dito, per dire "te lo avevo detto", al primo sbaglio.
Ginevra (3G) scrive: Sembra quasi che la scrittrice sia un'adolescente. I sentimenti che prova Costanza sono uguali a quelli che si provano quotidianamente. Lo ammetto io, che non leggo molti libri, perché quelli che trovo sono molto dispersivi, invece Sorelle di carta a mio giudizio è molto fluido ed è stato facile leggerlo. Oltretutto leggendo si ha la sensazione di entrare in questa vicenda. 
Ancora Natalie (3 A) scrive: Questo libro è stato forse l'unico a suscitare in me le stesse emozioni delle due ragazze, di Costanza e Aima, che completamente differenti nel loro modo di vivere, rischiano tutto per difendere il loro desiderio di libertà."
Alice (3 A) scrive: Ho amato ogni pagina di questo romanzo, forse perché assomiglio a Costanza, o per il linguaggio e le vicende attuali che mi hanno fatto immedesimare con facilità nella protagonista.
Nel libro Costanza e Aima non si trovano mai in prima linea sulla scena della guerra, ma ne sentono tutti gli effetti devastanti, avvertono crescere la tensione, vedono il fratello di Aima unirsi ai combattenti per la liberazione della Siria dalla dittatura, vedono la paura negli occhi e nei gesti delle persone adulte.
Questa tensione ha valicato il confine della storia, è entrata in forte relazione con i lettori, a tal punto che mi hanno chiesto più volte se fossi stata lì durante la guerra. Ovviamente no, ma negli anni in cui sono stata in Siria era evidente a ogni angolo di strada che non si trattasse di un paese democratico e libero, soprattutto per chi ci viveva. Ho respirato sulla mia pelle quella tensione, ho ascoltato gli anziani lamentarsi mestamente e a voce bassa di come andassero le cose. Quasi sempre le lettere che ricevevo dall'Italia erano state aperte e richiuse, con tanto di briciole di cibo dentro, e spesso private di una parte del loro contenuto, una foto, uno spartito musicale. La censura era sempre attiva e noi che lavoravamo lì non potevamo mai dimenticarcene.
Ricordo esattamente l'alba di una mattina, quella che seguiva l'affermazione di un nostro politico sul fatto che la cultura dell'Occidente fosse superiore a quella dell'Islam, ricordo le parole pesanti degli operai più grandi, ricordo quel loro sguardo ferito, e l'impossibilità mia di poter dire davvero tutto quello che pensavo in quel momento.
Mi limitai a dire che avevano ragione  e che certo io non la pensavo affatto così. Ma non potevo in nessun modo intavolare con loro una discussione politica, per nessuna ragione al mondo. Provai su di me un senso di impotenza e di abbattimento. Dopo qualche giorno uno di loro arrivò con un dono per me, una piccola croce di ferro, da appendere a un cordino, incartata in un angolo di foglio di giornale. La conservo nella mia scatola dei ricordi come il segno evidente che l'amore e il rispetto passano indissolubilmente dalla conoscenza. Sperai davvero con tutta me stessa che prima o poi la Siria potesse aprirsi a un percorso di democratizzazione, difficile ma necessario. Lo chiedevano i tempi e lo chiedeva il suo popolo.

Tell Mardikh, vista dalle mura della città antica 

Racconto tutto questo ai ragazzi che incontro, racconto della storia della Siria, delle sue origine moderne, e di come le manifestazione pacifiche svoltesi a Dar'a, a metà Marzo del 2011, potessero rappresentare davvero un'occasione, perché per la prima volta la società civile manifestava con un intento comune. Occasione purtroppo fallita e mancata, degenerata in brevissimo tempo in una catastrofe senza precedenti.
Credo che per i ragazzi gli incontri con me siano stata un'occasione di confronto e di approfondimento, perché spesso ciò che apprendono dai mezzi di informazione, è solo la notizia del momento, il massacro dell'ultima ora, non una ricostruzione accurata di come ci si sia arrivati a tanto scempio. Le immagini scorrono senza fondo, senza un sostrato nel quale trovare collazione, e così scivolano via, giorno dopo giorno, lontano da loro, e pure da noi.
Per questo sono convinta che ai ragazzi invece dobbiamo dare gli strumenti per non fermarsi a quelle immagini prive di prospettiva e terza dimensione, perché hanno bisogno di comprendere che ciò che accade non è esito momentaneo di un fatto particolare, ma conseguenza di un percorso, di una storia, in cui nessun attore in gioco, dunque nemmeno l'Occidente, può tirarsene fuori.
Scrive ancora Lucrezia (3 A): In questo libro ho visto crescere Costanza e Aima e con loro sono cresciuta anche io perché ho capito che le differenze di cultura e tradizioni non possono fermare "il desiderio", "la speranza" e "l'immaginazione". Questo libro è stato per me la chiave che ha aperto la porta dei miei pensieri verso le persone adulte. Mi è piaciuto come la scrittrice si è immedesimata in una ragazza quattordicenne con tutti i suoi problemi, consiglio quindi questo libro anche alle persone adulte per rinfrescare l'età dell'adolescenza che a loro non appartiene più"
Questo scrive ancora Francesca (3A): Personalmente ho adorato questo libro, soprattutto, l'idea, il pensiero su cui è stato costruito, quello di riscattare la vita di un intero popolo, di uomini, donne e bambini, che molto spesso non possono esprimere le proprie idee e talenti.
In un articolo, uscito domenica scorsa su Robinson, l'inserto di La Repubblica dedicato alla letteratura(http://www.repubblica.it/cultura/2017/03/11/news/robinson_12_marzo_raccontare_la_realta_con_gli_scritto_da_carrere_a_grossman-160305882/?ref=search), dal titolo, L'arte di raccontare la realtà, diversi grandi autori, tra i quali David Grossman, rivendicavano il senso e il potere della fiction. L'articolo andrebbe letto e riletto: il senso della riflessione poneva l'attenzione sul fatto che la letteratura, con le sue narrazione, ha il potere di restituire voce, dignità, visibilità alla complessità di ogni singola vita umana, a fronte spesso di una spersonalizzazione disumanizzante della rappresentazione giornalistica, che invece mostra le masse come fossero un'entità astratta, con cui è difficile empatizzare. Lo scrittore ha la possibilità di scegliere un protagonista è in esso mettere in scena il caleidoscopio di vissuti, sentimenti, emozioni che quelle persone coltivano e vivono.
Quello che ho cercato di fare con Sorelle di carta è stato proprio questo, narrare della Siria dal di dentro, per come l'ho conosciuta e vissuta io, in tanti anni di vita trascorsa lì. Ho voluto che le difficoltà, le paure, le ansie di libertà, i desideri e i sogni si palesassero concretamente nel corpo, nella mente, nel cuore di due adolescenti. Ho voluto che la Siria non fosse rappresentata solo per l'aberrazione delle sue fosse comuni, ma anche e soprattutto per la magnificenza della sua cultura millenaria, che appartiene a tutti noi, in primis al suo popolo.

Tell Banat, Medio Eufrate, Siria

Tell Banat, bambini sullo scavo

A casa di Mahmoud con Susanna, chissà di cosa discutevamo...

Ora ciò che vorrei davvero è che il libro continuasse a viaggiare qui in Italia, ma anche così a lungo da arrivare lì, dove tutto questo è nato. Un desiderio folle, lo so, ma sarebbe davvero bello se un giorno Sorelle di carta potesse essere letto dalle ragazze e dai ragazzi siriani.
Forse allora potrei pensare davvero, come mi hanno chiesto moltissimi dei ragazzi che ho incontrato, di continuare questa storia. E magari con un finale in cui la Siria e i suoi giovani possano riprendersi in mano le file e le traiettorie del proprio futuro.

Il braccialetto me lo ha regalato una ragazza che era in prima fila all'incontro di Verona. Una ragazza  tunisina, con un bellissimo velo in testa, che mi ha detto che anche lei aveva a cuore, come me, la mia Suria, nome che ha pronunciato in arabo. 

Ogni libro non nasce mai da solo: perché una storia arrivi tra le mani dei lettori, c'è tanto tantissimo lavoro da fare, un lavoro fatto soprattutto di cura, di attenzione, di sostegno, di pazienza, di passione, di accoglienza. Questa storia non sarebbe mai venuta alla luce se un'amica non mi avesse detto che la casa editrice con la quale ho poi pubblicato, Mammeonline, ora Matilda Editrice, stava aprendo una nuova collana, Crisalidi e Farfalle, e che sarebbe stata perfetta per il mio libro. Di questa casa che mi  ha accolto ringrazio di cuore Donatella Caione per avere sentito la mia storia, dentro e oltre, le file di parole, che la costruivano.
Così come ringrazio tutte le insegnanti che ho incontrato in questi anni per avermi accolto nelle proprie aule, in modo particolare il mio grazie va all'I.C. W.A. Mozart e soprattutto alla professoressa Laura Girlando, per la sua tenacia e la sua fiducia.
E da ultimo, ma non per importanza, alle ragazze e ai ragazzi, miei lettori, grazie di cuore!



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